Fast Fashion: luci ed ombre della moda low cost
Ricordate ancora quei cari,
vecchi tempi in cui facevamo shopping in modalità Slow Fashion? Esaminando il
nostro guardaroba, solitamente in occasione del cambio di stagione negli
armadi, ci rendevamo conto che si trattava del periodo perfetto per valutare
quali abiti ed accessori mettere da parte, per sostituirli con capi nuovi e di tendenza.
Così, dopo aver steso la nostra personale lista (anzi, wishlist!) degli oggetti del desiderio da accogliere nel
guardaroba, iniziavamo a consultare cataloghi e riviste per confrontare
modelli, colori e marchi di moda, paragonando tessuti e prezzi, linee e
tendenze, fino a progettare un preciso schema di azione, con un budget massimo
a disposizione, allo scopo di visionare i negozi scelti e toccare con mano gli
abiti selezionati, riflettere, riflettere ancora, tornare sul luogo del delitto
e, dopo un’attenta ed accurata valutazione finale, portare a casa il bottino di
guerra. Questo estenuante ed al tempo stesso appagante ed emozionante processo
di valutazione ed azione, croce e delizia di ogni shopper pignola e metodica,
non è altro che un preciso schema mentale traducibile, in termini psicologici,
come “decision making”, un processo cognitivo il cui scopo è quello di prendere
una buona decisione attraverso una scrupolosa serie di fasi mentali che
culmineranno nell’azione finale: lo shopping, anzi, uno slow shopping in modalità slow
fashion… un concetto che, ormai, potrebbe essere definito persino un po’
retrò.
Facciamo un passo avanti e
raggiungiamo l’era moderna, in cui tutto sembra essere diventato molto più fast e, talvolta, anche un po’ furious: fast food, fast diet, fast internet, persino fast fashion.
Fast Fashion: che cos’è?
Il Fast Fashion, la “moda rapida”,
sembra essersi trasformato nella nuova frontiera dello shopping e dello stile.
Di cosa si tratta? Il Fast Fashion potrebbe essere definito come una
particolare modalità di gestione della catena di distribuzione, da parte delle
aziende di moda, basata sulla possibilità di catapultare i modelli di abiti ed
accessori di haute couture dalle passerelle agli stand delle grandi catene di
moda low cost, offrendo una democratizzazione dell’alta moda delle Fashion
Weeks. I capi dei più importanti stilisti del mondo vengono rivisitati dai designers
delle aziende di abbigliamento low cost, per essere offerti in pasto al più
ampio pubblico ed indossati anche da chi, pur sognando gli eleganti défilé di
Milano e Parigi, non potrebbe mai permettersi un capo griffato. Da questo punto
di vista, la tendenza commerciale del Fast Fashion è una vera rivoluzione
democratica della moda dalle ripercussioni senz’altro positive per i
consumatori: come chi non può permettersi un quadro d’autore, ma gode della
possibilità di ammirarne un poster o una riproduzione in casa propria, allo
stesso modo chi non ha la possibilità (o l’intenzione) di investire in un capo
firmato dal valore notevolmente elevato può finalmente sentirsi parte di quell’incantato
mondo di alta moda e passerelle, indossando con soddisfazione un capo di
tendenza, ispirato a quelli dei grandi fashion designers, ad un costo
accessibile.
La moda low cost non è mica nata ieri!
Il Fast Fashion, dunque, sembra
poter offrire la possibilità di acquistare e sfoggiare capi alla moda e di
tendenza a prezzi accessibili, non più nelle grandi boutiques ma nei grandi
magazzini della moda a basso costo. Se a partire dagli anni ’90 il Fast Fashion
ha rivoluzionato il mondo dello shopping nel mondo occidentale, si tratta in
verità di un processo industriale che già nell’Ottocento iniziava a muovere i
suoi primi e riuscitissimi passi: le fabbriche tessili del XIX secolo
intrapresero, sulla cresta dell’onda dell’industrializzazione, la produzione in
serie al servizio della classe media. Mentre le donne di bassa estrazione
realizzavano in economia i propri abiti, con ago e filo, e le nobildonne
borghesi indossavano capi sartoriali, realizzati per loro su misura, le lavoratrici
della classe media frequentavano i celebri Grandi Magazzini, luoghi (ancora
oggi famosi nelle grandi città europee) di intrattenimento, emancipazione,
partecipazione alla vita sociale e, non per ultimo, shopping. Il passaggio dal
confezionamento degli abiti in sartoria alla consumazione più rapida di capi
fabbricati in serie non fu esclusivamente una fase storica dalla profonda
connotazione economica, ma anche culturale, sociale e di emancipazione
personale, femminile e maschile, la cui scia si estende ancora oggi alla
nascita dei più importanti brand di “moda istantanea low cost”, amatissimi dal
grande pubblico.
Moda istantanea: dal bozzetto al
negozio in pochi giorni
Si può realmente parlare di moda
istantanea proprio perché l’intervallo di tempo che corre tra la progettazione
del modello da parte del designer dell’azienda fino alla vendita del prodotto
finito presso gli store di abbigliamento è estremamente breve, di appena poche
settimane. E’ esattamente la rapidità il concept
di base del Fast Fashion: nell’arco di pochi giorni, un capo griffato avvistato
in passerella dai cool hunters, i cacciatori di tendenze assunti dalle aziende
di moda, può essere replicato in una forma liberamente ispirata (o, talvolta,
solo lievemente modificata) ed inserito in una delle numerose collezioni che
circa ogni due settimane si susseguono nei negozi di moda low cost, ad un
prezzo accessibile, talvolta promozionale, spesso scontato. I rinnovi delle
collezioni sono rapidissimi, tanto da non lasciare troppo spazio a quel lungo processo
di riflessione e valutazione che solitamente precede lo shopping: ciò che viene
avvistato in negozio, nel caso della moda fast,
sarà disponibile solo per pochi giorni, fino ad esaurimento scorte, per poi
essere prontamente rimpiazzato con un’ulteriore collezione dalla vita breve
come quella di una farfalla.
Fast Fashion: se vuoi indossarlo,
devi essere veloce!
Qual è il motivo di fondo che
spinge le aziende del Fast Fashion a proporre ai suoi consumatori dei ritmi di
aggiornamento così veloci e frenetici? Un tempo esistevano la collezione
Primavera/Estate e quella Autunno/Inverno, il tempo a disposizione per
pianificare un ottimo shopping, scrupoloso e strategico per il proprio guardaroba
(ed il proprio portafogli!), era più che sufficiente.
Ecco entrare in gioco la
Psicologia: il Fast Fashion interviene proprio sui processi cognitivi ed emozionali
che intercorrono tra la nascita di un bisogno (o, più spesso, di un desiderio
verso un prodotto non necessariamente utile o urgente) e l’atto finale
dell’acquisto, manipolando i tempi e le strategie psicologiche dei consumatori,
fino a modificare l’intero processo ed influenzando persino i comportamenti
successivi all'acquisto stesso (come la decisione di tornare o meno nello
stesso negozio e di comprare ulteriori prodotti di un determinato marchio di
moda). Quella della moda fast viene
definita dagli economisti “economia della scarsità ”: i prodotti di moda low
cost sono disponibili in qualità limitata e per un periodo limitato di tempo.
Ciò si traduce nel fatto che il cliente:
---> deciderà rapidamente di acquistare subito
l’oggetto che desidera perché sa che rischierebbe, altrimenti, di non trovarlo
più in negozio
---> sarà motivato a visitare spesso il negozio di
abbigliamento ed accessori, anche tutti i giorni, perché sa che potrà trovare
quotidianamente nuovi arrivi tra i quali curiosare. A tal proposito, è
interessante notare come gli allestimenti dei negozi di moda low cost vengano
regolarmente rinnovati: i capi vengono spostati, di settimana in settimana, in
zone differenti degli store, abbinati di volta in volta in modo diverso sui
manichini e spostati freneticamente per offrire ai clienti un panorama sempre
(ed apparentemente) nuovo.
---> acquisterà nuovi capi d’abbigliamento con
elevata frequenza, perché i prezzi sono bassi e le tendenze della moda si
susseguono in modo così rapido da non poter rischiare di farsi trovare
impreparato o, peggio, fuori moda: ci saranno sempre tanti nuovi modelli da
acquistare e lo shopping diventerà un vero e proprio lavoro di aggiornamento
costante ed irrinunciabile (e visto che costa così poco… che male c’è?).
Shopping ed emozioni: la fabbrica
dei desideri
Lo shopping è da sempre un
piacere indiscusso ed indiscutibile per una donna che apprezzi la moda e le
tendenze dello stile: l’insieme delle sensazioni gradevoli e delle emozioni di
gioia, sorpresa e soddisfazione che accompagnano l’atto dell’acquisto è il
motore principale del comportamento umano nei momenti dedicati alle compere.
Per quanto il fashion low cost possa soddisfare le esigenze di una larghissima
fetta di popolazione femminile (e non solo), democratizzando la moda, esso
sembra però concretizzare anche un vero e proprio “paradosso della felicità ”,
innescando una routine di acquisti rapidi e frequenti di oggetti del desiderio
che, paradossalmente, lasciano spesso un senso di insoddisfazione e
frustrazione perenne: i desideri non sono mai abbastanza, per ogni brama di
moda che viene realizzata sembrano apparire altri dieci desideri da soddisfare,
e sono sempre tante (forse troppe) le nuove tendenze da inaugurare nel
guardaroba, come in una gabbia rotante del desiderio che, dopo una lunga seduta
di fantastico shopping, ne impone immediatamente un’altra, e poi un’altra
ancora. Non è di certo una coincidenza se lo shopping senza freni e l’accumulo
rientrino tra le modalità principali dei disturbi compulsivi dell’era moderna.
Il Fast Fashion riesce a porre la psiche in uno stato perenne di
desiderio, stimolando le aree cerebrali della felicità , ma al tempo stesso
modifica le fasi di quel felice ed elettrizzante processo mentale che porta dal
desiderio all’acquisto, abbreviandole o eliminandole del tutto allo scopo di
stimolare un’azione veloce e recidiva.
Anatomia dello shopping: cosa
accade nella nostra psiche quando nasce un desiderio
L’emozione di felicità legata
allo shopping sprigiona la sua energia a partire dalla nascita di un desiderio:
una nuova tendenza della moda ci colpisce a tal punto che inizieremo a
desiderarla nel nostro look. Gran parte della gioia da shopping è già racchiusa
nella sensazione di volere un nuovo capo d’abbigliamento: ottenerlo ed
indossarlo è un qualcosa che accadrà solo in seguito. Le teorie psicologiche
classiche del comportamento del consumatore indicano ben 7 processi mentali
principali alla base dello shopping:
1. il
riconoscimento di un bisogno/desiderio (“ho proprio bisogno/voglia di…”)
2. la
ricerca di informazioni sul prodotto desiderato ed i suoi scopi ed utilizzi (“come
potrò abbinarlo, in quali occasioni potrò indossarlo, in quali e quanti
modelli, colori, tessuti e prezzi è disponibile in commercio…?”)
3. la
valutazione delle varie possibilità ed alternative (“posso acquistarlo in
differenti negozi, ognuno dei quali offre un certo modello ad un diverso costo…
non mi resta che scegliere!”)
4. l’acquisto
del prodotto (“ho deciso cosa e dove acquistare: corro alle casse, finalmente è
mio!”)
5. l’utilizzo
del prodotto (realizzazione degli outfit e dei look per tutte le occasioni)
6. le
valutazioni successive all’acquisto (“sono soddisfatta del capo che ho
comprato, l’ho effettivamente sfruttato come avrei voluto, avrei dovuto
acquistare un modello diverso o spendere di più/di meno…?”)
7. il
disinvestimento dell’oggetto (“sono stanca di indossarlo/non mi piace più come
prima/in fondo non mi sta poi così bene: preferisco metterlo da parte”)
Il processo cognitivo che oggi
accompagna lo shopping nel frenetico mondo del Fast Fashion si presenta,
invece, del tutto differente e di certo molto più rapido. La prima differenza
tra le fasi convenzionali della nostra psiche durante lo shopping e quelle
della moda fast sta nel fatto che lo
stesso processo decisionale non si configura più come un atto di “problem
solving”, ossia un percorso mentale di accurata decisione per rispondere ad un
bisogno o ad un desiderio in modo razionale e meticoloso: lo shopping non è più
solo un comportamento atto a raggiungere uno scopo o a soddisfare un preciso e
specifico desiderio, ma anche puro intrattenimento, spesso privo di scopi e di
aspettative. Fare shopping non è sempre e solo una necessità , ma un passatempo,
ludico e spensierato, spesso sociale, alla portata di tutti e facilmente
realizzabile, per gran parte della giornata ed in ogni zona dei quartieri di
appartenenza. Fare shopping in compagnia nel tempo libero, per il semplice
gusto di trascorrere momenti piacevoli, rende estremamente facile la
reperibilità di oggetti desiderabili (non ancora desiderati!), pur se non
deliberatamente cercati, ad un prezzo fondamentalmente accessibile ed
invitante, tanto da convincere all’acquisto in un tempo rapidissimo e
senza troppi pensieri: “ma sì, dai, lo
prendo!” Ecco che questo processo, super fast e completamente indolore,
demolisce non solo tutte le fasi di valutazione e di raccolta delle
informazioni circa un prodotto desiderato, ma anche e soprattutto la stessa
fase del desiderio che spinge allo shopping. Paradossalmente, il fast fashion è
una sorta di magnifica fabbrica di desideri istantanei che, al tempo stesso,
impedisce il desiderare e conduce all’atto immediato dello spensierato
acquisto!
Ma non è tutto: con il Fast Fashion cambiano anche i criteri di valutazione di un prodotto e dei suoi attributi principali. Prima di acquistare un oggetto, noi consumatori siamo solitamente attenti nel valutarne le caratteristiche, al fine di accertarci che si tratti del prodotto adatto a noi ed alle nostre esigenze, più o meno frivole. Tale valutazione non è legata esclusivamente all’acquisto di beni economicamente importanti, come automobili o prodotti costosi di alta tecnologia, ma anche ad abiti ed accessori: la pesantezza e la resistenza del tessuto, il colore, le decorazioni, il modello, la corrispondenza alle tendenze del momento o la facilità di abbinamento. Secondo le ricerche nel campo psicologico e cognitivo, pare che la preferenza dei prodotti delle industrie del Fast Fashion, rispetto a quelli dei grandi marchi di moda o delle industrie storiche del classico Slow Fashion, sia dovuta ad un preciso fattore che predomina su tutti gli altri: non la storia e l’affidabilità del marchio, non l’identità della griffe, non lo stile, il tessuto, il colore, il modello o le proposte di look, bensì il prezzo, o meglio, l’economicità di esso.
Ma non è tutto: con il Fast Fashion cambiano anche i criteri di valutazione di un prodotto e dei suoi attributi principali. Prima di acquistare un oggetto, noi consumatori siamo solitamente attenti nel valutarne le caratteristiche, al fine di accertarci che si tratti del prodotto adatto a noi ed alle nostre esigenze, più o meno frivole. Tale valutazione non è legata esclusivamente all’acquisto di beni economicamente importanti, come automobili o prodotti costosi di alta tecnologia, ma anche ad abiti ed accessori: la pesantezza e la resistenza del tessuto, il colore, le decorazioni, il modello, la corrispondenza alle tendenze del momento o la facilità di abbinamento. Secondo le ricerche nel campo psicologico e cognitivo, pare che la preferenza dei prodotti delle industrie del Fast Fashion, rispetto a quelli dei grandi marchi di moda o delle industrie storiche del classico Slow Fashion, sia dovuta ad un preciso fattore che predomina su tutti gli altri: non la storia e l’affidabilità del marchio, non l’identità della griffe, non lo stile, il tessuto, il colore, il modello o le proposte di look, bensì il prezzo, o meglio, l’economicità di esso.
Sembra dunque che la tendenza del
Fast Fashion ci spinga a scegliere ciò che costi poco prima ancora di ciò che
ci piaccia, ci stia bene e ci faccia sentire belle ed eleganti nella nostra
pelle. Un tempo le nostre madri e nonne tendevano a scegliere, finanze
permettendo, capi ed accessori che si dimostrassero resistenti nel tempo,
prodotti di buona qualità che potessero sfruttare per tanti anni e, magari,
tramandare alle future generazioni. Oggi noi giovani e giovanissime amiamo il
vintage e ne veneriamo il valore, storico ed affettivo, ma è probabile che nell’arco
di pochi decenni non esisterà più un vero vintage da conservare con la stessa
passione. I nostri capi sono una sorta di usa-e-getta: eliminiamo il senso di
colpa di una spesa ingente, consumiamo avidamente e rapidamente la moda della
settimana, ma al tempo stesso riempiamo i nostri guardaroba di oggetti che,
presto, saranno rimpiazzati, accumulati, mai veramente smaltiti (pensiamo, ad
esempio, alle conseguenze del Fast Fashion nel campo dell’ecosostenibilità , alle
leggi che non tutelano efficacemente il lavoro degli stilisti, per non parlare
dei reali costi della moda a basso prezzo in termini di produzione,
sfruttamento del lavoro, relazione tra costi effettivi e profitti aziendali).
Stiamo forse proiettando sulla nostra moda anche la nostra paura profonda di
investire, nella nostra vita, in qualcosa di più duraturo e stabile? I nostri
infiniti vestiti low cost sono i fantasmi di tutte le possibilità tra le quali
non riusciamo a scegliere, di tutte le strade che non sappiamo mai se
percorrere, di tutti i desideri che non sappiamo se realizzare?
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